lunedì 5 agosto 2013

Il PD ritorni agli elettori, non appartiene agli oligarchi delle correnti.

La proposta di far eleggere il segretario al prossimo congresso del Partito Democratico solamente dagli iscritti, viene presentata da molti come un normale aggiustamento delle primarie. Con l’attuale partito, gestito in gran parte dagli oligarchi delle correnti e in difficoltà a presentarsi come alternativa credibile a questo centrodestra, è oramai chiaro che non basta l’antiberlusconismo non solo per  vincere, ma anche per far esistere un partito in grado di governare.
 Serve un PD forte, coeso, che rappresenti la sinistra capace di superare la crisi della socialdemocrazia postcomunista e che sia “per” (governare equamente il Paese) e non “contro” (i ricchi).  Per questo, dal congresso deve emergere una leadership autorevole e condivisa, non un segretario di facciata che consenta a tutte le correnti di continuare con le loro manfrine. Appaiono pertanto ambigui i tentativi di far prevalere l’idea che il segretario debba essere votato dagli iscritti e il candidato presidente del consiglio dagli elettori del PD, per non indebolire il governo Letta (già debole per altri motivi). Questa divisione dei ruoli è funzionale invece alle vecchie volpi per estromettere Renzi, l’unico che appare in grado di convincere una maggioranza di italiani a votare PD. Ci sarebbe una certa logica in tutto ciò se fossimo in una situazione stabile, ma non in questa estremamente precaria (crisi e economica, ancora forte il populismo egoista del berlusconismo, debole la credibilità e l’identità del PD). Si vuole far passare questa ipotesi come ovvia, sorvolando sul fatto che le varie regole elettorali non sono perfette e “spostabili” nelle varie situazioni, ma risentono delle condizioni storiche e attuali di un paese o di un partito e che devono trovare un equilibrio tra rappresentanza e governabilità. 
Chi rappresenta ora il PD? Tutti gli elettori che si riconoscono nei suoi valori, ideali e programmi? I dirigenti con i vecchi militanti, sempre convinti di essere nel giusto, ma incapaci ad adeguare la gloriosa sinistra (che tanto ha fatto per portarci a questo grado di benessere sociale ed economico) ai tempi attuali? Per governare un paese in difficoltà serve avere un progetto credibile e un largo seguito, perché altrimenti non si governa per il bene comune, ma solo per il potere e per i privilegi, possibili anche se si è all’opposizione. 
Il congresso dovrà rispondere a tutto ciò. A tal fine vanno considerati due aspetti: il rapporto tra le regole elettorali e il partito che si vorrebbe (l’identità) è molto stretto; se ci sono dirigenti (che fanno le regole elettorali) intelligenti e corretti si può arrivare a un equilibrio tra forza di un partito (governabilità)  e partecipazione (rappresentanza). Altrimenti vincono i populisti delle correnti, facendo leva sulla nostalgia della socialdemocrazia postcomunista.
Perché questa ambiguità? Gli oligarchi sanno che se vince Renzi, non c'è futuro per loro, per chi ha distribuito con una mano vuoti slogan di una sinistra spesso nostalgica e talora retorica, mentre con l’altra teneva ben stretta la sua poltrona. Quando questa cupidigia diventa prevalente rispetto al mandato degli elettori, non c’è più credibilità e quindi la strada verso la frammentazione è avviata.  

Il PD deve trovare la sua identità e credibilità e condividerla col suo elettorato, ben più ampio di quello attuale. Proporre soluzioni ai problemi dell’Italia. Suscitare passione e speranze, perché politica non è solo interesse. Essere sinistra che sappia coniugare la difesa dei più deboli con lo sviluppo sostenibile economico, sociale e culturale dell'Italia. Solo cosi, con le primarie aperte, si può sostenere il PD per aiutare l'Italia. Facendo diversamente, ci chiuderemmo anche noi nel buio del populismo, questa volta però di sinistra.