sabato 16 febbraio 2013

Sanità no alla corsa al risparmio. Serve un serio riordino


Il recente Convegno “Come sta Trieste?” ha puntato l’obiettivo sullo stato di salute dei triestini fotografando una situazione organizzativa della sanità locale complessivamente buona anche rispetto all’incombente crisi economica. Ciò non toglie che si possa mirare a stabilire degli obiettivi più alti partendo dall’individuazione delle criticità del sistema stesso per arrivare a concepire una sanità triestina non più in un’ottica locale ma in un’ottica regionale.

Prima però di presentare proposte concrete, con il rischio di isolarle rispetto all’insieme, dobbiamo porci delle domande sulla capacità che abbiamo o meno di progettare il futuro della nostra sanità. Non c’è più tempo da perdere, di soldi ce ne sono sempre meno, i bisogni di salute aumentano e i costi, nel contempo, lievitano. Bisogna superare i ripetuti slogan su una sanità pubblica, universale e solidale, anche se chiaro e condiviso deve essere lo spirito di giustizia sociale, per entrare nel merito dei problemi perché solamente così si può arrivare a salvarla. Sostenere che va difesa, chiedendo solo un aumento delle risorse, senza avere il coraggio di fare delle scelte chiare e responsabili verso ciò che si ritiene efficace ed equo, significherebbe abdicare al ruolo di protagonisti di una società civile per scegliere il conformismo populista. Certo, è più facile dire ciò che ad ognuno piace sentirsi dire. Ma le cose difficili, se ben motivate, possono trovare ampia condivisione.

Partiamo dal problema economico. La sanità pubblica deve essere indubbiamente sostenibile economicamente, per evitare il calo del livello qualitativo ed il ricorso al privato che porterebbe ad un suo depotenziamento progressivo. Prima però di parlare di nuovi finanziamenti, utilissimi ma in questo momento difficili da ottenere, bisogna innanzitutto puntare a ridurre sprechi, ritardi e malaffare, evitando aumenti di spesa per i cittadini e maggiori carichi di lavoro per il personale, già eccezionalmente gravato. Una partnership, poi, tra operatori e cittadini,  nell’ottica di trasparenza e di reciproco rispetto dei diritti e dei doveri, deve essere alla base di qualunque progetto di salute che si proponga come obiettivo principale quello di far comprendere che “salute è soprattutto prevenzione e migliore stile di vita”. Ciò potrebbe sicuramente evitare nel futuro quella conflittualità che oggi va dalle crescenti denunce di cosiddetta malasanità alle domande sempre più pressanti di esami e terapie inutili, magari imposte da enti terzi. Stiamo facendo il massimo? Tutti gli operatori, sfiancati dal lavoro, risponderebbero di sì. Molti pazienti direbbero di no, vorrebbero essere ascoltati di più, guarire anche quando é impossibile o almeno essere accompagnati meglio in momenti difficili. Sulla base di quanto ho premesso, non credo che la risposta a tutte queste problematiche pressanti possa essere una nuova legge, quanto una corretta analisi delle attività svolte ed dei relativi risultati che vanno misurati e confrontati per capire dove intervenire, per stimolare una emulazione e non una competizione tra operatori. Questi, se coinvolti, sono una vera risorsa della nostra sanità, ma devono essere messi nella condizione migliore di lavoro, anche con un’adeguata formazione, perché il sistema va riorientato non più sulle “comodità” dell’organizzazione  quanto sui bisogni reali dei pazienti. A tale fine, a livello locale, sono necessarie alcune condizioni:
1)      un ulteriore miglioramento della collaborazione tra i quattro attori locali (Azienda Ospedaliero-universitaria, ASS1, Burlo e Comune) soprattutto per un’assistenza migliore per i pazienti anziani e cronici, degna di una città moderna e civile, che non può delegare l’ospedale per dare risposte ai bisogni di questi pazienti. Non è più rinviabile una riflessione sui limiti e sulle potenzialità di quanto ritenuto fondamentale per una moderna ed equa sanità, come la continuità assistenziale, le RSA, la domiciliarità e il ruolo dei clinici nel territorio.
2)      Il riordino della rete ospedaliera triestina (rinnovo dell’ospedale di Cattinara, con il trasferimento del Burlo) da realizzare in tempi certi, come occasione di sviluppo per Trieste evitando un’ottica di competizione con le altre province o di personalismi. Questa è l’occasione migliore per stabilire se l’Ospedale può essere un vero punto di riferimento non solo nazionale, ma anche internazionale, vista la presenza di importanti centri di ricerca di Trieste o un ottimo ospedale locale.
3)      La presenza dell’Ente Regione in qualità di equo “regista”.

Chi deve essere il motore di questa nuova e necessaria fase?  Sicuramente i rappresentanti dei cittadini, cioè i politici, che devono avvalersi di professionisti in grado di analizzare un sistema così complesso come la sanità, in cui si incrociano economia, alta tecnologia, sviluppo, bisogni e sensibilità delle persone. Sarà necessario rivedere il modello di governo e di finanziamento e modificare vecchie abitudini, presenti da più parti, legate a una concezione economicista o fideista della sanità, ridando senso alla parola comunità. La sfida alle prossime elezioni regionali non si gioca sulla corsa al risparmio o sull’esibizione di apparenti successi quantitativi, quanto sulla capacità di avviare un lavoro responsabile e corale.

Aureo Muzzi
Consigliere comunale del Partito Democratico

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