Il recente Convegno “Come sta Trieste?” ha puntato
l’obiettivo sullo stato di salute dei triestini fotografando una situazione
organizzativa della sanità locale complessivamente buona anche rispetto
all’incombente crisi economica. Ciò non toglie che si possa mirare a stabilire
degli obiettivi più alti partendo dall’individuazione delle criticità del
sistema stesso per arrivare a concepire una sanità triestina non più in
un’ottica locale ma in un’ottica regionale.
Prima però di presentare proposte concrete, con il rischio
di isolarle rispetto all’insieme, dobbiamo porci delle domande sulla capacità
che abbiamo o meno di progettare il futuro della nostra sanità. Non c’è più
tempo da perdere, di soldi ce ne sono sempre meno, i bisogni di salute
aumentano e i costi, nel contempo, lievitano.
Bisogna superare i ripetuti slogan su una sanità pubblica, universale e solidale, anche se chiaro e condiviso deve
essere lo spirito di giustizia sociale, per entrare nel merito dei problemi
perché solamente così si può arrivare a salvarla. Sostenere che va difesa,
chiedendo solo un aumento delle risorse, senza avere il coraggio di fare delle
scelte chiare e responsabili verso ciò che si ritiene efficace ed equo,
significherebbe abdicare al ruolo di protagonisti di una società civile per
scegliere il conformismo populista. Certo, è più facile dire ciò che ad ognuno
piace sentirsi dire. Ma le cose difficili, se ben motivate, possono trovare
ampia condivisione.
Partiamo dal problema economico. La sanità pubblica deve
essere indubbiamente sostenibile economicamente, per evitare il calo del
livello qualitativo ed il ricorso al privato che porterebbe ad un suo
depotenziamento progressivo. Prima
però di parlare di nuovi finanziamenti, utilissimi ma in questo momento
difficili da ottenere, bisogna innanzitutto puntare a ridurre sprechi, ritardi
e malaffare, evitando aumenti di spesa per i cittadini e maggiori carichi di
lavoro per il personale, già eccezionalmente gravato. Una partnership,
poi, tra operatori e cittadini,
nell’ottica di trasparenza e di reciproco rispetto dei diritti e dei
doveri, deve essere alla base di qualunque progetto di salute che si proponga
come obiettivo principale quello di far comprendere che “salute è soprattutto
prevenzione e migliore stile di vita”. Ciò potrebbe sicuramente evitare nel
futuro quella conflittualità che oggi va dalle crescenti denunce di cosiddetta
malasanità alle domande sempre più pressanti di esami e terapie inutili, magari
imposte da enti terzi. Stiamo facendo il massimo? Tutti gli operatori,
sfiancati dal lavoro, risponderebbero di sì. Molti pazienti direbbero di no,
vorrebbero essere ascoltati di più, guarire anche quando é impossibile o almeno
essere accompagnati meglio in momenti difficili. Sulla base di quanto ho
premesso, non credo che la risposta a tutte queste problematiche pressanti
possa essere una nuova legge, quanto una corretta analisi delle attività svolte
ed dei relativi risultati che vanno misurati e confrontati per capire dove
intervenire, per stimolare una emulazione e non una competizione tra operatori.
Questi, se coinvolti, sono una vera risorsa della nostra sanità, ma devono
essere messi nella condizione migliore di lavoro, anche con un’adeguata
formazione, perché il sistema va riorientato non più sulle “comodità”
dell’organizzazione quanto sui bisogni
reali dei pazienti. A tale fine, a livello locale, sono necessarie alcune
condizioni:
1)
un
ulteriore miglioramento della collaborazione tra i quattro attori locali (Azienda Ospedaliero-universitaria, ASS1,
Burlo e Comune) soprattutto per un’assistenza migliore per i pazienti anziani e
cronici, degna di una città moderna e civile, che non può delegare l’ospedale
per dare risposte ai bisogni di questi pazienti. Non è più rinviabile una
riflessione sui limiti e sulle potenzialità di quanto ritenuto fondamentale per
una moderna ed equa sanità, come la continuità assistenziale, le RSA, la
domiciliarità e il ruolo dei clinici nel territorio.
2)
Il riordino della rete ospedaliera
triestina (rinnovo dell’ospedale di Cattinara, con il trasferimento del Burlo)
da realizzare in tempi certi, come occasione di sviluppo per Trieste evitando
un’ottica di competizione con le altre province o di personalismi. Questa è
l’occasione migliore per stabilire se l’Ospedale può essere un vero punto di riferimento
non solo nazionale, ma anche internazionale, vista la presenza di importanti
centri di ricerca di Trieste o un ottimo ospedale locale.
3)
La presenza dell’Ente Regione in qualità
di equo “regista”.
Chi deve essere il motore di questa nuova e necessaria
fase? Sicuramente i rappresentanti dei
cittadini, cioè i politici, che devono avvalersi di professionisti in grado di
analizzare un sistema così complesso come la sanità, in cui si incrociano
economia, alta tecnologia, sviluppo, bisogni e sensibilità delle persone. Sarà
necessario rivedere il modello di governo e di finanziamento e modificare
vecchie abitudini, presenti da più parti, legate a una concezione economicista
o fideista della sanità, ridando senso alla parola comunità. La sfida alle prossime
elezioni regionali non si gioca sulla corsa al risparmio o sull’esibizione di
apparenti successi quantitativi, quanto sulla capacità di avviare un lavoro
responsabile e corale.
Aureo Muzzi
Consigliere comunale del Partito Democratico
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