domenica 20 novembre 2016

Se vince il NO, peggio per il NO? Fantapolitica, ma non tanto, secondo Bordignon


Il Piccolo Triesteprintclose
5 dicembre, ha vinto il grande No
Renzi lascia. E adesso che succede?
di FABIO BORDIGNON Il blackout dei sondaggi - che in Italia ci lascia “al buio” nei 15 giorni precedenti il voto - è scattato con il No in netto vantaggio. Non tanto, però, da escludere sorprese, il 4 dicembre. Del resto, dopo il caso Brexit e il caso Trump, in molti ipotizzano l’esistenza di una maggioranza sì-lenziosa (per usare il gioco di parole coniato da Claudio Cerasa de Il Foglio). Ma vale comunque la pena di iniziare a immaginare il corso della politica italiana in caso di bocciatura della Riforma costituzionale. Che potrebbe portare a esiti inattesi: addirittura contrari alle aspettative dell’#ItaliaDelNo, che sogna la spallata a Matteo Renzi e al renzismo. Facciamo un po’ di fiction. È la mattina del 5 dicembre. Hanno vinto Matteo Salvini e Beppe Grillo. Ma anche Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema. Ha vinto il No: nonostante gli endorsement internazionali e l’abbattimento di Equitalia. Non è la fine del mondo. Le borse cedono un po’: non è un crollo. I cavalieri dell’apocalisse non portano pestilenza, guerra, carestia. Renzi mantiene la promessa: con un tweet annuncia le dimissioni. Poi, sale al Colle. I primi a soccorrerlo sono i nemici del giorno prima: tutti sognano un’anatra zoppa su cui sparare fino al 2018. Per qualche giorno si parla di un #RenziII. Il rottamatore dimissionario si fa persino tentare. Ma poi conferma il suo No: l’unica soluzione - tuona da Pontassieve - è il voto anticipato. Tuttavia, di fronte alle resistenze di Sergio Mattarella, che spinge per una soluzione “parlamentare” alla crisi, non si mette di traverso. Accetta che si formi un nuovo governo di larghe intese, con il compito di portare avanti le misure più urgenti: il completamento della manovra economica; la definizione della nuova legge elettorale. Messa da parte l’anomalia del doppio incarico, il segretario-non-più-premier fa quello che alcuni gli chiedono da tempo: si occupa del Partito democratico. Il Pd è in subbuglio. I nemici della minoranza interna puntano a dare il colpo di grazia all’usurpatore. Ma Renzi rimane in sella. E plasma il partito a sua immagine e somiglianza. Non c’è alcuna scissione: semmai, qualche defezione individuale. Nel frattempo, la Corte costituzionale amputa l’altra gamba della Grande riforma: l’Italicum. Rimane in piedi, per la Camera e per il redivivo Senato, un sistema puramente proporzionale. Il dibattito sulla legge elettorale prosegue: ognuno sostiene il proprio progetto di legge, il proprio modello straniero da imitare. Ma, in realtà, a tutti non dispiace l’idea di andare a votare con le regole disegnate dalla Consulta. D’altronde, la prossima sarà una #LegislaturaCostituente ! Il proporzionale: va bene a Grillo, va bene a Berlusconi, va bene, a questo punto, persino a Renzi. Le riforme sono ormai in un vicolo cieco. I conti economici confermano la stagnazione. Cresce la conflittualità politica. Insieme all’insofferenza dei cittadini. Nei sondaggi, Lega e Movimento 5 stelle volano. Mentre gli azionisti di maggioranza fanno a gara a chi si mostra più lontano dall’esecutivo. La situazione scivola, inesorabilmente, verso nuove elezioni. Andiamo avanti, nel nostro divertissement fantapolitico sulla #RepubblicaDelNo. Il confronto procede a colpi di scandali, attacchi personali, zuffe in televisione. «È la peggiore campagna elettorale di sempre!» Non siamo nella prima Repubblica. In uno scenario iper-personalizzato, i primattori sono sempre loro: Grillo, Berlusconi, Salvini. E naturalmente Renzi. L’esito delle elezioni, tuttavia, assomiglia molto a quelli dei primi quarant’anni della storia repubblicana. M5S e Lega Nord aumentano il proprio bottino di voti, ma non hanno i numeri per governare. Anche perché gli avversari si chiudono a riccio, in una rinnovata conventio ad excludendum. Del resto, lo spauracchio populista è stato il tema centrale della campagna. Grazie al quale, anche il Pd® è tornato a crescere. E si propone, inevitabilmente, come perno di un nuovo (e ampio) patto centrista. Che torna al governo: senza alternative. È l’inizio di una lunga egemonia. Anti-renziani di tutto il Paese, unitevi: il 4 dicembre votate Sì.

Nessun commento:

Posta un commento